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Cineasti classici




CHARLOT, regia di Charlie Chaplin!
"L'unico genio che il cinema abbia prodotto"


"Credo nel potere del riso e delle lacrime come antidoto all'odio e al terrore (...) è paradossale che nell'elaborazione d'una comica la tragedia stimoli il senso del ridicolo; perché il ridicolo, immagino, è un atteggiamento di sfida: dobbiamo ridere in faccia alla tragedia, alla sfortuna e alla nostra impotenza contro le forze della natura, se non vogliamo impazzire".

Charles Spencer Chaplin (Inghilterra, 1889 - Svizzera, 1977), è Charlot, premio Oscar nel 1972 alla carriera per "l'incalcolabile contributo dato alla trasformazione del cinema nell'arte del nostro secolo"; il più completo maestro cinematografico di tutti i tempi, il maestro nel senso più assoluto. Produttore-regista-protagonista, mattatore indiscusso della scena ma anche soggettista ed autore delle musiche; più di 80 film tra corto, medio e lungometraggi, dei quali almeno il settanta percento diretti personalmente. A soli venticinque anni, ad Hollywood, è considerato una leggenda dello spettacolo; a trenta, nel 1919, fonda con Griffith, Fairbanks e Pickford, la United Artists, assicurandosi così l'indipendenza produttiva totale, padrone assoluto artisticamente ed economicamente di se stesso. Una vita sociale anticonformista, per l'epoca, gli ha creato non pochi problemi: improvvisamente ricco ha fatto parlare di se non solo come Charlot, ma anche per quattro audaci matrimoni (due sedicenni una diciottenne ed una diciannovenne), diverse relazioni, qualche scandalo ed undici figli riconosciuti! Per la comprensione del personaggio Charlot, essenzialmente autobiografico (nome ideato nel 1915 da un distributore francese), è: necessario ricordare la triste infanzia di Chaplin caratterizzata dalla miseria: padre e madre artisti falliti, lui comico alcolizzato, lei cantante, separatisi quando il piccolo Charlie aveva un anno; due anni di orfanotrofio trascorsi con il fratello maggiore, per poi cimentarsi nei lavori più umili, vivendo per lo più sempre come artista di teatro, fino alla decisiva svolta nel cinema e all'invenzione della "macchietta" Charlot.

Personaggio maldestro che combina un mucchio di guai, attraverso lui Chaplin attaccherà a fondo le convenzioni, polemizzando contro la società nei suoi molteplici aspetti. Re della pantomima (azione scenica rappresentata con gesti e danze) e dell'abilità acrobatica, per Charlot inventa un trucco e un abbigliamento unico:"Quel modo di vestire mi aiuta ad esprimere la mia concezione dell'uomo medio, dell'uomo comune, la concezione di quasi tutti gli uomini, di me stesso. La bombetta troppo piccola rappresenta lo sforzo accanito di poter apparire dignitoso. I baffi esprimono vanità. La giacca abbottonata stretta, il bastoncino e tutto il comportamento del vagabondo rivelano il desiderio di assumere un'aria galante, ardita, disinvolta. Egli cerca di affrontare coraggiosamente il mondo, di andare avanti a forza di bluff: e di questo è consapevole. E ne è così consapevole che riesce a ridere di se stesso e anche a commiserarsi un po'". Riempie lo schermo con le disavventure di quest'omino, vagabondo, aristocratico e poetico, sempre solo ma generoso, schiacciato da un mondo ingiusto e crudele ed eternamente perseguitato dal destino. Nell'opera chapliniana vi sono trovate e gag indimenticabili. Il linguaggio cinematografico, specie nel primo periodo, quello del muto (!), è la combinazione tra humor e phatos (inteso come viva commozione), caratterizzato da un'instancabile pantomima e abilità mimica. Il ritmo di Charlot in azione è straordinario ma disciplinato, nulla è lasciato al caso, tutto è studiato e mai improvvisato: l'eccletismo e le acrobazie atletiche, ma anche le danze, i giochi d'abilità e non ultima la formidabile recitazione. Tutta l'inquadratura è per Charlot e il suo virtuosismo; i primi piani sono rarissimi per non rallentare mai il ritmo. Nel 1914 ottiene una prima co-regia per il corto "Charlot garzone di caffè", nello stesso anno diventa regista di se stesso con "Sotto la pioggia" e dopo sei mesi arriva il primo lungometraggio "Il romanzo di Tillie" (per la regia però di Mack Sennett).

Ormai artista famoso in tutto il mondo, per "L'emigrante", ha girato 12 mila metri di negativo per montarne, nel cortometraggio, 500! Nel 1918 firma un contratto per otto film per la cifra, allora record, di un milione di dollari. Un anno intero sono durate le riprese dello straordinario "Il monello", lungometraggio autobiografico, patetico, comico ma estremamente commovente; successo mondiale, anche per Jackie Coogan, interprete a fianco di Chaplin. "Il pellegrino", del 1923, ultimo e famosissimo cortometraggio, ha fatto grande scalpore per la durissima satira sociale. Dello stesso anno "La donna di Parigi", in cui per la prima volta non compare come interprete, se non in una piccola parte marginale; la mancanza di Charlot ne ha decretato l'insuccesso nonostante si riveli film drammatico caratterizzato da un'ottima regia. Comunque la pellicola impressionò la critica e venne proibita in tredici stati americani con l'accusa di immoralità. "La febbre dell'oro", quattordici mesi di ripresa nel Nevada per un capolavoro indiscusso della storia del cinema; comico e poesia legati indissolubilmente, alcune scene sono ricordate da tutti i cineasti come sequenze immortali: la baracca in bilico sullo strapiombo, la bollitura delle scarpe, la "danza dei panini" e Big Jim che tenta di mangiarsi Charlot scambiato per un pollo. Rieditato da Chaplin nel 1942 con l'aggiunta del sonoro. Nel 1928 realizza lo stupefacente "Il circo", nel quale si manifesta una vena malinconica sempre più marcata; le trovate comiche, ormai inconfondibili, viaggiano ad un ritmo perfetto; nel 1929 ha ricevuto uno speciale Award "per la versatilità e la genialità con cui ha sceneggiato, interpretato, diretto e prodotto «Il circo»", nel 1969 ha scritto le musiche per una riedizione. Nel 1931 nonostante fosse già stato inventato il sonoro, gira "Luci della città"; il film è senza dialoghi e Chaplin, autore anche della colonna sonora, ha impiegato tre anni per terminarlo: così come per "Il monello" fu girata una quantità incredibile di pellicola. A difesa del muto ricordiamo che per Chaplin il cinema sta soprattutto nelle immagini e non nel dialogo. Quando uscì "Tempi moderni" in America c'era il sonoro da dieci anni, ma il maestro inglese, imperterrito, continuò con il muto (a parte un unico stupefacente monologo recitato in una lingua incomprensibile, le musiche, sempre sue ed alcuni fondamentali rumori). A riguardo sostiene Griffith:"Chaplin non aveva nulla contro il sonoro in sé. Quello che cercava di fare era conservare il silenzio di Charlot", e quando giunse al sonoro, con "Il grande dittatore", cancellò per sempre Charlot. "Tempi moderni" rivela una forza stupefacente; è una satira feroce e straordinaria contro il capitalismo ma anche contro lo stacanovismo sovietico; alcune sequenze sono dei miti cinematografici. Nella storia, il protagonista, operaio di fabbrica, perde il lavoro e finisce in manicomio per colpa di un esaurimento nervoso dovuto... all'alienazione da lavoro! È stata definita "la più sferzante satira sul mondo dell'industrializzazione e della meccanizzazione che sia mai apparsa sullo schermo" e il film è del 1936!

Anche se con notevole ritardo, arriva il suo primo lavoro sonoro con "Il grande dittatore", una farsa sulle tirannie, con riferimenti hitleriani coraggiosi; è girato infatti durante la seconda guerra mondiale ma prima dell'intervento americano; da ricordare assolutamente i discorsi del dittatore Hynkel caratterizzato da fonemi incomprensibili. "Monsieur Verdoux", da un'idea di Orson Welles, è tra le opere più controverse, per la prima volta vi recita senza maschera e trucco; è il cinema che si evolve e Chaplin che pur battendo le stesse strade di "terrorismo contro il perbenismo e le strutture sociali", lo fa costruendo nuovi ed originali artifici. Ricordiamo la famosissima frase di Verdoux/Chaplin prima di andare a morte: "con Dio sono in pace, con l'uomo no". Nel successivo "Luci della ribalta", ricordiamo il commovente finale in cui recita in coppia con Buster Keaton. Nel frattempo, accusato di essere filo-comunista e considerato come pericoloso sovversivo dalla Commissione per le Attività Antiamericane, nel 1952 andò via dagli Stati Uniti e vi ritornò dopo vent'anni, soltanto nel '72 per ritirare l'Oscar."Il mio più grande peccato fu, e lo è ancora, quello di essere un anti conformista. Pur non essendo comunista, mi rifiutai di allinearmi con coloro che li odiavano. Questo atteggiamento, si capisce, ha offeso molta gente". "Un re a New York", del 1957 è ancora e sempre satira contro il mito del denaro e del perbenismo. A distanza di dieci anni ormai settantottenne gira l'ultima pellicola, "La contessa di Hong Kong",unico film a colori di tutta la sua produzione, interpretato da Sofia Loren e Marlon Brando ed ancora lo stesso Chaplin in una piccola parte marginale.

"Sono sempre stato triste perché sono diventato ricco recitando la parte del povero. Charlie Chaplin: l'unico genio che il cinema abbia prodotto.

Per ulteriore comprensione, del personaggio Chaplin/Charlot, e dell'evoluzione del cinema, consigliamo la visione del commovente ed esplicativo film di Richard Attenborough, "Charlot". Prodotto con quaranta milioni di dollari, è basato tra l'altro sull'autobiografia dello stesso maestro.




Filmografia essenziale (solo lungometraggi):

"Carmen", 1916;
"Il monello", 1921;
"La donna di Parigi", 1923;
"La febbre dell'oro", 1925;
"Il circo", 1928;
"Luci della città", 1931;
"Tempi moderni", 1936;
"Il grande dittatore", 1940;
"Monsieur Verdoux", 1947;
"Luci della ribalta", 1952;
"Un re a New York", 1957;
"La contessa di Hong Kong", 1967





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